Io laggù per il momento non ci torno e non ci faccio tornare mio figlio.
Sia chiaro per gli israeliani e per la nostra zona ad oggi non c’è nessun reale pericolo: lo scudo antimissile intercetta moltissimi razzi e noi siamo in una zona non particolarmente interessante dal punto di vista strategico e anche abbastanza distante sia dai razzi di Gaza che da quelli che eventualmente potrebbero arrivare da Siria e Libano.
Ma io non voglio imparare le misure di sicurezza, non voglio che mentre ce ne stiamo sul divano a guardare Dragon Trainer dobbiamo uscire di casa di corsa o correre nei rifugi. Non è questa l’infanzia che voglio per mio figlio.
Per di più, se devo essere sincera, a me non frega nulla né degli uni né degli altri: o meglio mi interesso dei destini dell’umanità e detesto violenza e guerra. Ma dopo 20 anni in Medio Oriente l’idea che mi sono fatta delle popolazioni locali non è lusinghiera. Ai miei occhi di europea moderna nata ben dopo la Seconda Guerra Mondiale questi sembrano dei cocciuti ignoranti che preferiscono mandare i figli a morire che non trovare una soluzione diplomatica.
Come lo spiego a Matteo cosa succede oggi in Israele? A scuola gli dicono che i paesi intorno ci odiano e ci attaccano, ma non spiegano perché. Quando io gli dico che è perché Israele ha occupato dei territori che non le spettavano e ha cacciato la gente che ci viveva sopra mi dice che “allora è tutta colpa degli ebrei”. Allora Tamir ed io ci guardiamo sconsolati e risolviamo con il solito “no, amore, non è così, è una situazione complicata”.
E poi? Per quanto si farà bastare questa spiegazione?