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Perché per ora laggiù non ci torniamo

13.07.2014

Io laggù per il momento non ci torno e non ci faccio tornare mio figlio.

Sia chiaro per gli israeliani e per la nostra zona ad oggi non c’è nessun reale pericolo: lo scudo antimissile intercetta moltissimi razzi e noi siamo in una zona non particolarmente interessante dal punto di vista strategico e anche abbastanza distante sia dai razzi di Gaza che da quelli che eventualmente potrebbero arrivare da Siria e Libano.

Ma io non voglio imparare le misure di sicurezza, non voglio che mentre ce ne stiamo sul divano a guardare Dragon Trainer dobbiamo uscire di casa di corsa o correre nei rifugi. Non è questa l’infanzia che voglio per mio figlio.

Per di più, se devo essere sincera, a me non frega nulla né degli uni né degli altri: o meglio mi interesso dei destini dell’umanità e detesto violenza e guerra. Ma dopo 20 anni in Medio Oriente l’idea che mi sono fatta delle popolazioni locali non è lusinghiera. Ai miei occhi di europea moderna nata ben dopo la Seconda Guerra Mondiale questi sembrano dei cocciuti ignoranti che preferiscono mandare i figli a morire che non trovare una soluzione diplomatica.

Come lo spiego a Matteo cosa succede oggi in Israele? A scuola gli dicono che i paesi intorno ci odiano e ci attaccano, ma non spiegano perché. Quando io gli dico che è perché Israele ha occupato dei territori che non le spettavano e ha cacciato la gente che ci viveva sopra mi dice che “allora è tutta colpa degli ebrei”. Allora Tamir ed io ci guardiamo sconsolati e risolviamo con il solito “no, amore, non è così, è una situazione complicata”.

E poi? Per quanto si farà bastare questa spiegazione?

Come ti manipolo i media

05.07.2014

All’inizio c’era una oggettiva difficoltà nella rappresentazione della realtà.

Maler der Grabkammer des Userhêt (II) 001

Poi si è scoperta la prospettiva e le cose sono andate un po’ meglio, ma comunque la pittura non è mai stata una fedele rappresentazione.

Quando è arrivata la fotografia la gente si è illusa che si potesse congelare l’attimo sul serio, ma Robert Capa ha mostrato, con grande maestria, come tutte le immagini possono essere manipolate.

© Magnum/Robert Capa - All rights reserved

© Magnum/Robert Capa – All rights reserved

Infine a rendere tutto più facile è arrivato Photoshop.

Photoshop 101: come si taglia una foto per manipolare l'opinione pubblica.

Photoshop 101: come si taglia una foto per manipolare l’opinione pubblica.

Cosa vedo nella foto originale (del 2005 e riproposta continuamente, mi auguro che il fotografo cucchi un sacco di soldi di royalties)?

Io ci vedo violenza e basta. Possiamo discutere giorni e giorni sul fatto che i soldati hanno armi e i manifestanti bastoni, così come possiamo discutere giorni sul fatto che i soldati sono accerchiati da un numero spropositato di manifestanti. Ma così come non mi frega nulla dell’uovo e della gallina, così qui mi interessa solo che la cosa venga risolta, nel migliore dei modi possibili per entrambi i popoli.

E se non bastasse arriva l’editing della stampa, che magari in un set di centinata di foto ne sceglie una e falsa completamente i fatti.

 

Quiz: A cosa sta rispondendo la polizia israeliana?

A questo:

 

E questo:

 

Non a questo:

 

E neanche a questo:

 

Prego notare che al vero funerale, intorno alla bara ci sono forse 1-2 uomini mascherati.

Quindi che si fa? Si legge, tanto. Anche testate che fanno ribrezzo per la cieca propaganda che portano avanti.

Poi si cerca di capire dove i media stanno strumentalizzando ed estetizzando la politica e si cerca di farsi un’opinione che può andare dall’estremismo, all’equidistanza (io tendo verso questa fino a che una delle due parti non mi convince di volere davvero la pace) all’indifferenza.

(Approfondimenti sulla scelta delle immagini da parte della stampa qui: http://www.ilpost.it/2014/06/19/afp-foto-morti-iraq-isis/)

Parlo per me

04.07.2014

Puntuale come un treno svizzero è arrivata la risposta dei civili israeliani alla morte dei 3 ragazzi rapiti qualche settimana fa. Un giovane palestinese (si chiamava Muhammad Hussein Abu Khdeir  e non “giovane arabo” come si limita a dire la stampa italiana)  è stato ucciso in un atto di orribile vendetta.

Per quanto riguarda la magnitudine delle operazioni dell’esercito posso solo dire che mi sembra un uso sproporzionato della forza. Ovviamente non sono un’esperta di questioni militari, ma leggo qui e là, soprattutto B’Tselem, 972 e Active Stills e mi sembra che questa escalation di violenza promossa dallo Stato non possa portare nulla di buono.

Però parlo per me e confesso che la cosa che mi spaventa davvero è l’atmosfera tra i civili, israeliani e palestinesi: mi spaventa che i coloni siano sempre più violenti e armati, mi spaventa che i giovani palestinesi pensino che violenza e al terrorismo siano l’unico modo per far sentire la propria voce.

E non mi dite che non hanno altra scelta, perché la scelta di una protesta non violenta c’è sempre. È che tra i giovani di una popolazione sfinita e lasciata nell’ignoranza dai propri governanti, Hamas e le altre organizzazioni terroristiche trovano terreno fertile. Esattamente come le organizzazioni di estrema destra ebraiche trovano terreno fertile nelle colonie, che sono al centro di una grande querelle nazionale (cioè mica pensate che tutti gli israeliani le supportino e riconoscano?!). Il fatto che i giovani laici israeliani riescano a trovare modi per non arruolarsi – cosa che fino a qualche anno fa non esisteva proprio – mentre i coloni si arruolino tutti, anche gli studenti delle yeshiva, la dice davvero lunga.

Poi però a pagarne le conseguenze sono ragazzi come Mohammed o i bambini delle scuole di Sderot, città israeliana quasi giornalmente colpita da missili provenienti dalla Striscia di Gaza (scommetto che anche di questo non sapevate nulla in Italia), che durante l’ultima operazione sono stati ospitati dalla scuola di Matteo per mantenere un’impressione di calma e quotidiana normalità.

Ieri sera nel centro di Tel Aviv c’è stata una grande manifestazione promossa da Peace Now chiamata “Manifestazione del buonsenso” che aveva l’intenzione di riportare i toni della questione nella sfera del dialogo. Ci sono andate un sacco di persone, ma sulla stampa internazionale non ne ha parlato nessuno.

Ecco allora ve lo dico io: Israele non è solo violenza, estrema destra, esercito, slogan di odio per gli arabi. E in Palestina c’è anche un team di street racing al femminile. Nei territori occupati lavorano i rabbini che promuovo i diritti umani. A Yafo, città di fianco a Tel Aviv con popolazione prevalentemente araba, il mio amico Yair, nato nel kibbutz di mio marito, ha aperto una galleria d’arte che propone artisti palestinesi contemporanei.

Anche qui è possibile la normalità. Come facciamo per farla diventare la norma e non l’eccezione?

 

 

Quale pace?

30.06.2014

Stavamo guardando la partita in pizzeria quando hanno interrotto le trasmissioni per annunciare il ritrovamento dei corpi dei 3 ragazzi israeliani rapiti. Al ristorante hanno subito cambiato canale, probabilmente per non turbare le tante famiglie che come noi sono andate a cena fuori per festeggiare la fine della scuola. O forse perché in Medio Oriente si è completamente perso il senso dell’empatia.

Muoiono 3 ragazzi? Eh beh, erano dei coloni che non hanno diritto di essere da quelle parti. Se la sono cercata, no?
Rastrellamenti in Cisgiordania? Tanto i Palestinesi sono tutti terroristi, no?

No.

I 3 ragazzi sono vittime innocenti di una guerra ben più subdola e sporca di quello che voi vedete comodamente seduti in poltrona in Italia. Ben più complessa di quello che vedo io comodamente seduta in poltrona a 30km dalla Cisgiordiania.

La verità è che io non sono affatto contro l’esercito israeliano: questo paese, come l’Italia, ha il diritto di difendersi dagli attacchi nemici. Ma i Palestinesi della Cisgiordania o di Gaza non sono i nemici.

I nemici sono i terroristi e se non lo hanno capito qui che “Occhio per occhio, dente per dente” non funziona, il dibattito DEVE spostarsi fuori dal Israele e dall’Autonomia Palestinese. Deve tornare ad essere una priorità per l’ONU e per i paese democratici, occidentali e orientali.

Deve tornare ad essere una priorità per legittime organizzazioni governative e non.

La questione non può essere lasciata a buffonate come quella della flotilla per la pace, la causa palestinese non può essere raccontata da Mankell o dai giovani idealisti che pensano che andare a Gaza 6 mesi con una sedicente NGO sia il modo giusto per aiutare.

Io una soluzione non ce l’ho ovviamente: ma so che ultimamente sono diventata più riflessiva e attenta a quello che succede intorno a me e ho sempre meno pazienza per chi inneggia alla libertà palestinese o alla supremazia israeliana senza conoscere la storia, anzi meglio, i fatti, non fuorviati da letture e commenti faziosi.

Alle famiglie superstiti, da un lato e dall’altro, posso solo augurare una cosa: di cercare il supporto di associazioni come The Parents Circle e di seguire l’esempio di Manuela Dviri.

Ora vado ad abbracciare il mio bambino e a sognare un futuro in cui cose così non succedano più.