Stavamo guardando la partita in pizzeria quando hanno interrotto le trasmissioni per annunciare il ritrovamento dei corpi dei 3 ragazzi israeliani rapiti. Al ristorante hanno subito cambiato canale, probabilmente per non turbare le tante famiglie che come noi sono andate a cena fuori per festeggiare la fine della scuola. O forse perché in Medio Oriente si è completamente perso il senso dell’empatia.
Muoiono 3 ragazzi? Eh beh, erano dei coloni che non hanno diritto di essere da quelle parti. Se la sono cercata, no?
Rastrellamenti in Cisgiordania? Tanto i Palestinesi sono tutti terroristi, no?
No.
I 3 ragazzi sono vittime innocenti di una guerra ben più subdola e sporca di quello che voi vedete comodamente seduti in poltrona in Italia. Ben più complessa di quello che vedo io comodamente seduta in poltrona a 30km dalla Cisgiordiania.
La verità è che io non sono affatto contro l’esercito israeliano: questo paese, come l’Italia, ha il diritto di difendersi dagli attacchi nemici. Ma i Palestinesi della Cisgiordania o di Gaza non sono i nemici.
I nemici sono i terroristi e se non lo hanno capito qui che “Occhio per occhio, dente per dente” non funziona, il dibattito DEVE spostarsi fuori dal Israele e dall’Autonomia Palestinese. Deve tornare ad essere una priorità per l’ONU e per i paese democratici, occidentali e orientali.
Deve tornare ad essere una priorità per legittime organizzazioni governative e non.
La questione non può essere lasciata a buffonate come quella della flotilla per la pace, la causa palestinese non può essere raccontata da Mankell o dai giovani idealisti che pensano che andare a Gaza 6 mesi con una sedicente NGO sia il modo giusto per aiutare.
Io una soluzione non ce l’ho ovviamente: ma so che ultimamente sono diventata più riflessiva e attenta a quello che succede intorno a me e ho sempre meno pazienza per chi inneggia alla libertà palestinese o alla supremazia israeliana senza conoscere la storia, anzi meglio, i fatti, non fuorviati da letture e commenti faziosi.
Alle famiglie superstiti, da un lato e dall’altro, posso solo augurare una cosa: di cercare il supporto di associazioni come The Parents Circle e di seguire l’esempio di Manuela Dviri.
Ora vado ad abbracciare il mio bambino e a sognare un futuro in cui cose così non succedano più.